giovedì 17 ottobre 2013



 APPENDICITE ACUTA

L'appendicite acuta, di per sè, è una patologia piuttosto semplice, perchè colpisce solo l'appendice cecale. Ma la cosa più importante è tutto il quadro clinico, perchè bisogna fare una serie di valutazioni per porre una diagnosi differernziale con numerose altre patologie.

Cenni storici
All'inizio del '900 veniva definita tiflite o peritiflite ( processo infiammatorio a carico della parete del cieco).
Nel 1886 Fitz indrodusse l'entità nosologica di appendicite.
Ci fu un reperto autoptico di appendicite iperforata con cieco integro in  una giovane donna.
Si cominciarono ad operare le prime appendiciti nel 1736, con gli strumenti e i metodi presenti in quel tempo.
Per questo motivo, fino al 1936 c'è stata un'elevata mortalità ( 9%), che è andata progressivamente a ridursi fino allo 0,3% e che si è poi mantenuta nel tempo.

Epidemiologia
Colpisce circa il 6% della popolazione occidentale, con una massima incidenza tra la seconda e la terza decade di vita.
M:F= 1:1
C'è una percentuale di perforazione nell'infante intorno al 100% al primo anno di età.
L'incidenza nella popolazione mondiale è 7-12%.
Nel 1941 l'appendicectomia rappresentava l'intervento che andava per la maggiore, costituendo il 10% di tutti gli interventi chirurgici. Questa percentuale si è poi ridotta nel tempo , fino a raggiungere il 2%, grazie all'introduzione della profilassi antibiotica e dell'antibioticoterapia.
C'è una percentuale variabile tra il 15% e il 40% di appendiciti che sono istologicamente negative all'esame anatomo-patologico.
L'appendicite rappresenta l'emergenza chirurgica addominale più frequente.

Anatomia
Dove si trova l'appendice topograficamente?
Nel 75% dei casi può essere un' appendice retrocecale.
Nel 30% dei casi può essere parzialmente o totalmente pelvica. Poichè un individuo di 30-40 anni può avere l'appendice lunga fino a 15cm, può localizzarsi anche nello scavo pelvico e dare un processo infiammatorio che può essere chiaramente confuso con altre patologie. E' questo che rende l'appendicite una patologia su cui riflettere, perchè si presenta a seconda dei vari casi in modalità diverse.
Si può presentare anche in ipocondrio sinisto (appendice sottoepatica) a causa di una malrotazione intestinale o di un sinus viscerum inversus. Nell'appendice sottoepatica è chiaro che se si fa l'incisione di McBurney, non si riesce a trovare il cieco, perchè è localizzato più in alto. E questo può diventare un problema, perchè bisogna trovare un escamotage per riuscire ad asportare l'appendice. La cosa è abbastanza scomoda, perchè bisogna prolungare un po' il taglio, divaricare i lembi e quindi lavorare in condizioni molto difficili, perchè l'accesso visivo con la luce diventa un problema, ma fortunatamente succede raramente.

L'appendice può presentarsi, anche se raramente, in fossa iliaca sinistra.
Può diventare problamatica l'appendice retrocecale. In questo caso, dopo aver fatto un taglio di 4cm e trovato il cieco, con una punta smussa o, meglio, con il dito indice, che è lo strumento meno traumatico che possiamo utilizzare, si va ad apprezzare l'appendice e si vanno ad identificare, nelle prime parti dell'intervento, il cieco, l'ovaio nella donna e le strutture che si trovano in fossa iliaca destra.
 L'appendice nel 50% dei casi è mobile, mentre in altri casi è adesa alla parete del cieco o può essere addirittura sottosierosa, cioè nello spessore del peritoneo viscerale. Quindi, durante l'intervento, bisogna aprire il peritoneo viscerale e portare ad estroflettere l'appendice in modo tale da poter eseguire l'intervento di appendicectomia.

Il flusso arterioso proviene dall'arteria ileocolica che dà un ramo ascendente e un ramo per l'ileo e piccoli rami per l'appendice cioè i rami appendicolari.


Fisiopatologia
Nel bambino, nelle prime settimane di vita, si verifica un processo di maturazione dei linfociti T nel tessuto linfoide intestinale immunosecretore.
Dai 12 ai 20 anni c'è una diminuzione della componente linfoide, che si riduce progressivamente dopo i 30 anni.
 Nella patogenesi dell'appendicite viene data molto importanza alla occlusione del lume.
La componente linfoide, in risposta a processi infettivi, può andare incontro ad iperplasia e causare un ingombro del lume appendicolare.
Andando avanti con l'età si va incontro ad un'atrofia del tessuto linfoide e, in questo caso, il processo infiammatorio si verifica per occlusione del lume appendicolare da parte di un coprolita o di qualche corpo estraneo.
 Nel bambino l'appendice è lunga fino a 4-5cm, è generalmente più anteriore e ha un ampio lume. Per questo si ingombra per l'aumento della proliferazione e della secrezione del tessuto linfoide.
Invece, nell'adulto ha una lunghezza maggiore, è generalmente posteriore e ha un lume più discreto. E' più difficile avere un ingombro da parte del tessuto linfoide, ma più che altro da corpi estranei o da coproliti.

Come si verifica la sequenza degli eventi?
  1.  C'è un ostruzione del lume appendicolare che può essere causata da un' iperplasia del tessuto linfoide nel 60% dei casi,  da un coprolita nel 35% dei casi o da altri corpi estranei o da altre cause in percentuali minori.
  2.   Dato che il volume all'interno dell'appendice è generalmente di 1 ml o poco più, un aumento di volume di 3-4 volte rispetto al normale determina un aumento della pressione intraluminale, che causa una distesione del peritoneo viscerale e, quindi, l'insorgenza di un dolore di tipo viscerale.
  3. Aumento della peristalsi per vincere questa resistenza.
  4. Il dolore può diventare crampiforme.
  5. La distensione progressiva dell'appendice determina una compressione delle venule e un aumento del flusso arteriolare , che causano ancora di più un incremento della sintomatologia del dolore viscerale (nausea e vomito) , una diminuzione del deflusso venoso e una distensione progressiva della parete dell'appendice.
  6. C'è un'infiammazione della sierosa del peritoneo parietale con dolore in fossa iliaca destra.
  7. Alterazione della vascolarizzazione parietale con la formazione di microinfarti sul bordo antimesenterico.
  8. Invasione batterica, poichè il contenuto intestinale non è sterile.
  9. Il processo va avanti e ,se nessuno interviene con un'appendicectomia o con una copertura antibiotica, si ha perforazione e peritonite.


In alcuni casi, per fare un esempio, il paziente può aver assunto degli antidolorifici. Quindi la sintomatologia inizialmente è acuta, poi può progressivamente scemare, per poi arrivare ad un dolore abbastanza importante con un quadro di febbre alta e peritonite.
A volte si trova anche che l'appendice è stata quasi decapitata, non ci sono dei monconi appendicolari e non si trova l'appendice perchè è andata in necrosi totale. In questo caso si tenta in tutti i modi di chiudere l'intestino e si fa una resezione intestinale che coinvolge sia l'ileo che il colon ascendente oppure un'emicolectomia destra. Si posizionano dei drenaggi e il peritoneo si ripulisce tutto quanto. Quando i drenaggi sono puliti si sfilano. Il processo infiammatorio si risolve, però il paziente si è sottoposto ad un'emicolectomia destra per un processo appendicolare abbastanza avanzato.
Quando poi si verifica un ascesso periappendicolare anche la parete del cieco viene interessata. Quindi il processo si estende al cieco e al colon ascendente. Poi in qualche modo il processo si autolimita. A volte può avanzare esitando in uno shock settico.

Anatomia patologica
Inizialmente la parete dell'appendice si presenta edematosa ed iperemica, con teleagectasia della sierosa (Appendicite catarrale).
Successivamente ci può essere un essudato sierofibrinoso che ricopre tutta la parete dell'appendice. A volte è necessario separare l'appendice da questo piccolo processo infiammatorio che si sviluppa intorno, prima di eseguire l'appendicectomia. Inoltre c'è anche il coinvolgimento del mesenteriolo (edema) e delle aree limitrofe.
Si può arrivare alla gangrena e alla totale occlusione vascolare dei vasi del mesenteriolo o dell'arteria appendicolare e delle venule, fino alla perforazione o alla decapitazione dell'appendice.  La perforazione interviene mediamente entro 24-36 ore dall'inizio del processo infiammatorio (non dall'inizio della sintomatologia).
A seguito dell'infiammazione c'è la formazione di una raccolta purulenta intorno all'appendice, che determina un'infiammazione periappendicolare, che si può vedere anche all'ecografia e alla TC. Qui le anse vanno a sbarrare questo processo infiammatorio e lo autolimitano nella fossa iliaca destra.
Durante l'intervento, quando si mobilita il cieco, si può vedere la fuoriuscita del pus, che si localizza in fossa iliaca destra. Può succedere che il pus attraversi la parete e causi un piastrone parietale o piastrone appendicolare o una peritonite circoscritta che coinvolge anche la parete oppure, se questo processo di tamponamento da parte del peritoneo non ha successo, si ha la peritonite diffusa anche fecaloide.
Dunque, la peritonite può essere solitamente circoscritta ed esitare in un ascesso periappendicolare oppure può essere generalizzata, come nei soggetti immunocompromessi o nelle perforazioni molto precoci. L'appendicite si può perforare subito, perchè l'intestino non fa in tempo a sbarrarlo con il peritoneo oppure perchè il paziente è immunocompromesso ed ha una compromissione della risposta generalizzata all'infiammazione. Per cui nell'immunocompromesso non si ha nè la febbre, nè un dolore tipico, che può far sospettare una perforazione. Quindi, mentre si sospetta di essere in una fase iniziale di appendicite, siccome ,per esempio, il paziente fa terapia con cortisone, magari si è già in una fase di peritonite generalizzata. Perciò la diagnosi può essere misconosciuta e ritardata.

Abbiamo queste forme:
- Forma iperemico-edematosa o catarrale;
- forma purulenta o empiematosa;
- forma emorragica ( perchè si può verificare la rottura di alcuni vasi del mesenteriolo e quindi oltre alla componente purulenta c'è anche la componente ematica);
- forma gangrenosa (manca l'apporto vascolare di tutti i vasi del mesenteriolo)
- forma di transizione.

CASO CLINICO
Ragazza di 24 anni con dolori che si esacerbavano con una periodicità di una volta ogni quattro mesi. Questo tipo di appendicite andava in qualche modo trattata. Alla fine la ragazza è stata operata, ma non aveva nessun processo infiammatorio all'appendice. Aveva una cosa abbastanza rara. C'era una torsione di 180° del mesenteriolo, che dava uno tipo di pseudovolvolo, con sofferenza vascolare e un dolore vivo che, con la terapia antibiotica e con gli antidolorifici si risolveva. Ci siamo accorti di ciò durante l'intervento, perchè dopo aver sezionato la base,ad un certo punto,  l'asse vascolare ha fatto una torsione. C'erano dei microinfarti dentro l'appendice.

Esiste anche un' appendicite cronica. In questo caso diversi processi infiammatori acuti determinano fenomeni di atrofia, sclerosi e fibrosi periviscerale. 

Clinica
Quando arriva alla nostra osservazione un paziente con appendicite acuta, la prima cosa da chiedere è dov'è cominciato il dolore. L'appendicite acuta esordisce con un dolore localizzato inizialmente in sede epigastrica-periombelicale , di tipo viscerale , che può durare 12-24 ore, per poi localizzarsi in fossa iliaca destra .
Perchè il dolore inizia in sede epigastrica-periombelicale? Perchè l'afferenza viscerale del dolore è localizzata a livello del plesso mesenterico superiore e del plesso celiaco. Quindi, tutti gli organi peritoneali ( colon destro, appendici, ileo, tenue, duodeno, colon trasverso) hanno l'afferenza del peritoneo viscerale che scarica a livello di questi plessi più alti, con una distribuzione metamerica localizzata attorno all'ombelico.
Perchè successivamente il dolore si sposta in fossa iliaca destra? Perchè il processo infiammatorio che va avanti irrita il peritoneo parietale , che ha un'afferenza somatica, che è più veloce e topograficamente si localizza a livello della fossa iliaca destra.
Se il dolore inizia da subito in basso, dobbiamo pensare ad altre patologie, che devono essere poste in diagnosi differenziale.
Il dolore si associa a nausea e vomito (nel 95% dei casi ) e febbricola (generalmente 37,2 - 37,5 °C ).
Gli indici di laboratorio sono un po' alterati. Si hanno 18.000 bianchi con una lieve neutrofilia.
Ci può essere l'alvo chiuso a feci e a gas, ma non è una regola.

Inoltre, ci sono delle presentazioni particolari di appendicite, ad esempio in gravidanza. In questo caso bisogna valutare che l'utero, aumentando di volume, disloca i visceri e l'appendice comprimendola. Può insorgere dolore da stiramento dei mesi. Questa condizione va valutata attentamente, perchè se la donna deve essere operata , bisogna sapere in che mese di gravidanza si trova. Se la donna è tra il settimo e il nono mese si può concordare con il ginecologo di effettuare un doppio intervento (parto + appendicectomia). In gravidanza non si può fare nè una TC, nè un'indagine radiologica diretta. Al limite si può fare un'ecografia, ma l'appendice, a volte, è difficile da vedere a causa del dislocamento dei visceri. ****

In età geriatrica la sintomatologia dell'appendicite è più sfumata, con scarso dolore e febbricola. Inoltre, gli anziani possono assumere farmaci che possono determinare un'alterazione della sintomatologia.
Nell'anziano e nell'immunocompromesso il dolore può localizzarsi lateralmente fin dall'inizio con un quadro avanzato. Perciò, a volte è difficile stabilire una corretta diagnosi.
La cosa importante è che quando sospetti che un paziente abbia un'appendicite o un altro tipo di patologia, non bisogna somministrare farmaci analgesici, perchè mascherano la sintomatologia. A volte arrivano dei pazienti con appendicite, ma andandoli a visitare e non si trova nessuna infiammazione. Poi si scopre che il paziente ha assunto un grammo di paracetamolo. Magari il paziente ha anche un'appendicite empiematosa, ma bisogna aspettare almeno 6 ore prima di riuscire a fare un'interpretazione. Questo perchè alla fine la diagnosi dell'appendicite è solo clinica. Non bisogna somministrare mai antidolorifici a meno che non si è proprio sicuri della diagnosi. Una volta fatta la diagnosi possiamo dare il farmaco al paziente e poi operarlo.

Il dolore dell'appendicite varia a seconda della posizione dell'appendice.
Se l'appendice è retrocecale il dolore è localizzato in regione lombare destra. Il dolore è quindi posteriore. A volte il dolore si localizza in fossa iliaca destra, ma più lateralmente. Non ha un'insorgenza acuta, tipo colica renale, magari può presentare caratteristiche sovrapponibili a una flogosi ureterale. E' chiaro che in questo caso si deve decidere, in base ai dati di laboratorio e all'osservazione, se è veramente una colica ureterale, un'infiammazione dell'uretere o veramente un appendicite , che in questo caso avrà una localizzazione retrocecale.

A volte il dolore si sposta a livello dell'ipogastrio, qualora l'appendice si localizzi tra la vescica e l'utero. Questa condizione va posta in diagnosi differenziale con la malattia infiammatoria pelvica. Un dolore in regione sovrapubica si può associare frequentemente a tenesmo rettale e vescicale o a una patologia ginecologica, come una cisti ovarica.
E' importante chiedere ad una donna in che fase del ciclo si trova. Per esempio, se una ragazza è al terzo giorno di ciclo è chiaro che ha dolore, può avere febbricola, può avere un quadro sfumato e qualche chirurgo potrebbe far sottoporre la paziente ad un intervento, perchè sulla base del quadro clinico sospetta un appendicite. Poi il chirurgo durante l'intervento trova l'appendice bianca. Questo non significa che uno opera per il ciclo mestruale, ma che è importante capire che tipo di dolore avverte la paziente.

Nei 2/3 dei casi ci sono delle alterazioni vascolari. Però nella maggior parte c'è un'intensa sintomatologia per svariate ragioni, per cui si arriva ad una diagnosi più avanzata. Si trova ad esempio un cieco perforato, tumori carcinoidi, tumori del cieco, che possono mimare anche un quadro di appendicite concomitante.


Diagnosi

Esame clinico
Rimane l'esame fondamentale. La sintomatologia è soggettiva, per cui è necessaria un'attenta anamnesi. All'esame obiettivo bisogna raccogliere più segni possibili.
Precocemente abbiamo un'ipomobilità agli atti del respiro e massima dolorabilità nel punto di McBurney (punto di repere situato a livello del primo terzo della linea che idealmente congiunge la spina iliaca anteriore superiore destra e l'ombelico). Il paziente si presenta sofferente, con i muscoli tesi e un colorito pallido. Ha febbre o febbricola. Sfiorando la cute dell'addome si può suscitare dolore e contrazione addominale.
Tardivamente abbiamo:
- Positività al segno di Blumberg o del rimbalzo, che consiste nella compressione con rilascio brusco, in cui il ritorno brusco della parete nella situazione di normalità evoca un forte dolore. 

-Aumento del dolore soggettivo anche con un colpo di tosse, perchè anche una lieve compressione del peritoneo causa dolore.
In genere il paziente non assume una posizione antalgica, ma può assumerla con una leggera flessione della coscia sul bacino.
-Importante è l'esplorazione rettale sia nell'uomo che nella donna. Nell'uomo riusciamo a vedere se nello scavo retto-vescicale c'è la presenza di una piccola raccolta. Pigiando il peritoneo parietale nella direzione verticale dello scavo si determina una reazione veramente dolorosa. Nella donna, invece, si preme nello scavo retto-uterino o si tocca anteriormente il fornice vaginale posteriore. Se lo scavo è dolente, ma è dolente prevalentemente il fornice avremmo un'alta probabilità di avere una patologia ginecologica, con interessamento di tutto l'apparato riproduttivo, perchè muovendo il fornice, assieme all'utero, si muovono anche i legamenti ovarici. E' possibile che la paziente abbia , ad esempio, una salpingite, o un corpo luteo emorragico. Quindi è necessario un attento esame obiettivo e un attento esame clinico, assieme a una consulenza ginecologica. Se la paziente è vergine possiamo fare un'ecotranvaginale per visualizzare meglio se c'è un interessamento degli organi genitali femminili.
-Iperpiressia. Se la febbre è superiore a 38°C  vuol dire che l'appendicite è andata avanti, esitando anche verso una peritonite conclamata, con una  possibile evoluzione verso la sepsi.
-Segno di Rovsing: l'applicazione di una pressione al quandrante inferiore sinistro provoca dolore al quadrante ineriore destro.
-Segno dell'ileo-psoas positivo: l'estensione passiva o la flessione attiva della coscia destra con paziente su fianco sinistro evocano dolore.
-Segno dell'otturatore: la rotazione passiva verso l'interno o verso l'esterno della coscia destra flessa sul bacino evoca dolore.

Nell'appendicite retrocecale il segno di Blumberg può essere anche sfumato o assente, perchè non c'è  il rivestimento del peritoneo parietale anteriormente o lateralmente. Non c'è irradiazione epigastrico-pelvica del dolore perchè è tutto sbarrato qui dietro.
Nell'appendicite pelvica il dolore è localizzato nella pelvi. C'è positività all'esplorazione rettale.

Diagnosi differenziale
L'appendicite acuta va posta in diagnosi differenziale con:
-Adenomesenterite: si differenzia dall'appendicite per linfocitosi relativa, mentre i neutrofili non sono aumentati. Di supporto nella diagnosi è l’ecografia che mostra i linfonodi mesenteriali ingrossati. Inoltre si associa ad una faringite. Spesso inganna il chirurgo perché recede con la terapia chirurgica, ma in realtà basta una terapia sintomatica per farla recedere (tachipirina).
-Gastroenterite;
-Patologie annessiali (es. salpingite);
-Cisti ovarica;
-PID;
-Torsione del testicolo;
-Ileite terminale: viene ad essere indistinguibile dall’appendicite acuta. Ha tutte le caratteristiche laboratoristiche e cliniche dell'appendicite acuta. Si può avere occlusione intestinale, perchè c'è un ispessimento parietale, quindi una stenosi. Molto spesso, in passato si operava, perchè può dare l'ascesso. La diagnosi differenziale si può fare con la laparoscopia o con un ecografia mirata. Generalmente c'è febbre e non una febbricola.
-Colica renale destra;
-Colica biliare (d.d. con appendicite sottoepatica);
-Ulcera peptica perforata ( Rodolfo Valentino fu sottoposto ad un'appendicectomia per sospetta appendicite e dopo un peggioramento è morto. L'autopsia ha poi dimostrato che c'era un'ulcera peptica perforata);
-Diverticolo di Meckel;
-Endometriosi;
-Impattamento fecale: c'è la distenzione del colon e del cieco, può determinare questa sintomatologia. Il paziente evacua e la sintomatologia migliora.
-Cancro-ascesso (nel paziente anziano).

Esami di laboratorio
Si richiede un emocromo completo. Generalmente si valutano i globuli bianchi e la formula leucocitaria. Si hanno dei valori compresi tra 10.000 e 18.000 bianchi.
La PCR (proteina C reattiva) è molto importante perchè è un indice di evoluzione del quadro flogistico. Va valutata dall'inizio perchè, ad esempio, se si osserva un paziente e la PCR sta aumentando, mentre i leucociti rimangono costantemente alti per 3-4 giorni , è possibile un'evoluzione dell'infiammazione e magari il paziente può avere una peritonite acuta.

Esami strumentali
Se il quadro clinico non è molto chiaro è possibile ricorrere agli esami stumentali, specialmente per effettuare una diagnosi di tipo differenziale. Gli esami strumentali che si possono eseguire sono:
-Rx diretta addome;
-Ecografia;
-Clisma opaco;
-TC.

L'Rx diretta addome serve ad evidenziare un ostruzione da coproliti o da corpi estranei . Vediamo un livello idroaereo nell'ultima ansa e nel cieco, scomparsa del profilo del muscolo ileopsoas oppure un'ansa sentinella. Ma non è un'indagine molto specifica.

L'ecografia o un' ecotransvaginale nella donna è abbastanza utile, perchè può mettere in evidenza  la presenza di un versamento libero. Si può misurare con estrema precisione sia il diametro della parete appendicolare sia la lunghezza di tutta l'appendice e possiamo identificare anche raccolte ed ascessi, che nel paziente immunocompromesso possono essere misconosciute. Questa tecnica consente di arrivare con un'alta sensibilità ed un'alta specificità ad una diagnosi. La compressione con la sonda a livello dell'appendice provoca dolore. All'ecografia l'appendice si presenta come un'immagine a dito di guanto,con un lume disteso e una parete più spessa.


Il clisma opaco si esegue se c'è qualche dubbio, ma non in urgenza. Tuttavia è poco utile perchè l'appendice non si opacizza.

La TC si esegue per la diagnosi differenziale, quando il quadro clinico non è specifico di appendicite acuta. Può rivelare la presenza di una neoplasia del cieco, di una raccolta, di un infarto emorragico o di un ascesso. Ci permette di valutare l'estensione e la localizzazione della lesione, al fine di riuscire a capire qual è la migliore via di accesso nel caso di un intervento. La TC ha un'alta specificità.


Di particolare rilievo è l'Alvarado Clinical Score, un test che mette insieme l'esame obiettivo e gli esami di laboratorio assegnando loro dei punteggi.



Uno score di 7-8 indica una elevata probabilità di diagnosi di appendicite acuta. Se lo score raggiunge il valore di 9-10 la diagnosi è praticamente certa. Al contrario uno score di 1-3 punti determina un bassa probabilità che il dolore addominale riconosca come causa una appendicite acuta. Per valori di score intermedi (4-6 punti) il paziente dovrebbe essere trattenuto in osservazione in astanteria di Pronto Soccorso per un adeguato periodo di tempo. Sono eventualmente indicati ulteriori approfondimenti diagnostici, come ad esempio l'esecuzione di un'ecografia addominale.

Complicanze
-Perforazione;
-Peritonite (saccata, diffusa, formazione di ascessi periappendicolari);
-Pileflebite ( Tromboflebite settica del sistema portale. E' una forma devastante con un quadro clinico con temperatura intorno a 39-40 °C);
-Ascesso appendicolare;
-Ascesso post-operatorio (è possibile che nei giorni successivi all'intervento si possa riformare un ascesso, quindi il paziente deve essere rioperato).

Prognosi
La prognosi dipende da una diagnosi celere, dall'inizio dell'antibiotico-terapia e dalla precocità dell'intervento. In particolare, dopo la somministrazione dell'antibiotico ad ampio spettro, se diamo il tempo al quadro clinico di evolvere, è possibile anche che l'appendicite possa regredire, senza che sia necessario operare il paziente.

Terapia
In attesa dei risultati degli esami teniamo il paziente a digiuno, perchè non sappiamo come evolve il quadro clinico. Somministriamo liquidi e.v. per l'equilibrio idroelettrico, perchè il paziente è disidratato e digiuno e dobbiamo dargli almeno un supporto idrico.
-Terapia farmacologica: terapia antibiotica mirata e terapia antisecretiva per lo stomaco.
-Terapia chiurgica: appendicectomia per via open o per via laparoscopica.

Appendicectomia per via open


Si esegue l'incisione di McBurney ( linea obliqua dall'alto verso il basso, dal lato verso il medio, 1/3 sopra e 2/3 sotto il punto di McBurney) o , in alternativa, in base alla localizzazione dell'appendice, si può fare un'incisione più mediana o pararettale. Si incide cute e sottocute, il muscolo obliquo esterno, muscolo obliquo interno, il muscolo trasverso e si divaricano i lembi col divaricatore. Una volta inciso anche il peritoneo si riconosce il cieco. Si cerca di prendere il cieco con una pinza atraumatica, in quanto la parete del cieco è molto sottile. A questo punto il cieco viene esteriorizzato e viene individuata l'appendice con il dito indice localizzare l'appendice. Una volta esteriorizzato, il cieco può rimanere fuori oppure parzialmente dentro. L'esteriorizzazione dell'appendice deve essere eseguita con delicatezza per evitare la rottura perchè, essendo infiammata, è più rigida ed edematosa e si rompe più facilmente.
Nell'appendicectomia classica prima si seziona il mesenteriolo, poi si stringe un laccio alla base dell'appendice e si esegue l'appendicectomia. Una volta che il moncone appendicolare è stato resecato, si passa una borsa di tabacco attorno al cieco, si stringe il nodo e il moncone si introflette all'interno del cieco.
L'appendicectomia retrograda, invece, si esegue quando ci sono delle aderenze o delle condizioni anatomiche che non permettono di sezionare prima il mesenteriolo. In questo caso prima si isola l'appendice, si seziona la base e poi il mesenteriolo.
In caso di appendicite acuta ricoperta da false membrane ripiene di pus o di fibrina, c'è il rischio, mobilitando il cieco, di comprimere o di aprire il piastrone o l'ascesso concomitante. Bisogna dunque impedire la diffusione del pus negli altri recessi addominali, quindi si posizionano delle pezze a tamponare o a limitare l'esposizione del campo. Se ci sono ascessi periappendicolari, se si rompono, il pus si può riversare lungo la doccia parietocolica e risalire fino a livello sottoepatico e si possono formare degli ascessi post-operatori.
 In caso di raccolta ascessuale periappendicolare è indicato il posizionamento di drenaggi. Generalmente il drenaggio non si fa uscire dall'incisione ma da un punto a parte.
Una volta eseguita l'appendicectomia, si passa al lavaggio peritoneale con soluzione fisiologica e al controllo degli annessi, nelle donne. Infine si passa alla chiusura del peritoneo e delle fasce dei due muscoli obliqui,
lavaggio della ferita e sutura della cute.



 





Appendicectomia per via laparoscopica
Questo approccio è indicato nella donna in età fertile, nel dubbio diagnostico oppure nel paziente obeso, perchè l'incisione di McBurney nel paziente obeso è più profonda ed è più difficile individuare l'appendice, e se ci sono delle complicanze. Se l'appendice è retrocecale si preferisce fare un accesso di tipo laparoscopico.
Indotto lo pneumotorace, si visualizzano il cieco e l'appendice. Con l'elettrocoagulazione si va ad incidere il mesenteriolo vicino alla base dell'appendice e si crea un accesso abbastanza grande per riuscire a far passare la suturatrice. La suturatrice meccanica è in grado automaticamente di resecare l'appendice e suturare il moncone appendicolare. E' importante fare attenzione non prendere altre strutture con la suturatrice.




Dopo aver fatto l'appendicectomia bisogna esplorare l'ileo per 50-70 cm, perchè ci può essere il diverticolo di Meckel. Il diverticolo di Meckel è il residuo onfalomesenterico e si forma in diverse zone dell'intestino. Al suo interno ci si può ritrovare mucosa gastrica che può esitare anche in un emorragia, ci possono essere anche neoplasie, ad esempio un adenocarcinoma dovuto alla presenza di mucosa gastrica ectopica. Il diverticolo di Meckel è un diverticolo vero perchè è formato da tutti gli strati della parete. Esso può dare delle complicanze. Nel 4% dei pazienti il diverticolo è sintomatico per emorragia, ostruzione intestinale o diverticolite.
La diagnosi la puoi fare con un'ecografia, Rx diretta o clisma. Col clisma si vede abbastanza bene.
Il diverticolo può essere sintomatico o asintomatico. A volte l'appendice e il diverticolo possono essere molto vicini e dare la stessa sintomatologia . [CASO CLINICO. Recentemente abbiamo operato una ragazza con diverticolo di Meckel che aveva una diverticolite. Abbiamo aperto per via laparoscopica:  l'appendice era bianca , però aveva un grosso diverticolo di Meckel infiammato, non eccesivamente, ma è stato necessario resecarlo. Quindi quella era la causa del dolore in fossa iliaca destra.]
 Le metodiche per resecarlo sono varie: o si asporta il diverticolo per via classica,  o si fa una resezione cuneiforme dell'ansa, o una sutura in duplice strato della parete. Oppure si fa prima tramite una suturatrice lineare, che asporta direttamente il diverticolo, senza stare a resecare e a suturare.










giovedì 13 giugno 2013

SESSO CON IL CICLO


È sbagliato fare l’amore durante il periodo delle mestruazioni? Molte coppie considerano “il periodo rosso” una vera e propria minaccia per le loro attività sessuali, credendo che sia inopportuno restare passionali anche durante quei giorni.
Innanzitutto, per sfatare le leggende metropolitane che parlano dei diversi rischi che si corrono praticando del sesso in quei giorni, bisogna ricordare che da un punto di vista medico non ci sono motivi che invece lo sconsiglino. Praticamente, non si rischia di avere problemi fisici o di alterare in qualche modo il naturale decorso del ciclo mestruale. Se lo si desidera, e a volerlo devono essere entrambi i partner, è possibile avere dei rapporti sessuali anche quando la propria compagnia è indisposta, poiché la medicina non parla di particolari controindicazioni. Addirittura, infatti, in base ad alcuni studi scientifici, sembrerebbe che durante questo periodo la masturbazione, o i rapporti sessuali in generale, in alcune donne possa avere dei benefici. Le contrazioni uterine riducono l’intensità dei crampi addominali dovuti alle mestruazioni.


Inoltre, si parla di “sconvolgimento ormonale” che avviene durante le mestruazioni, che può provocare reazioni diverse a seconda della donna. Sono, infatti, tante le donne che riescono a raggiungere più facilmente l’orgasmo in quei giorni, poiché la vagina è maggiormente lubrificata. Rimane comunque l’imbarazzo della secrezione, e dell’estetica di quei giorni, che in molti casi creano inibizione e quindi poco piacere da parte della donna. Tuttavia, nel momento in cui in una coppia si è raggiunto un livello alto di intimità, superando quindi l’eventuale situazione di “disgusto” o di imbarazzo e laddove le condizioni igieniche siano favorevoli, nulla vieta di abbandonarsi al piacere.


Altra leggenda metropolitana, molto più diffusa, che dev’essere smentita è quella secondo cui avere rapporti sessuali quando la donna è in fase mestruale è preferibile per evitare gravidanze indesiderate perché la donna in quei giorni non è fertile. Assolutamente sbagliato: una donna è sempre fertile nell’arco dei ventotto giorni di ciclo mestruale, ciò che cambia è la probabilità con cui può essere fecondata. Sicuramente in quel periodo questa probabilità è molto più bassa che negli altri, ma comunque c’è e non va sottovalutata.
Certamente è importante essere più “delicati” e attenti durante quel periodo, usando il preservativo anche perché le possibilità di contrarre infezioni e malattie sessualmente trasmissibili sono maggiori, poiché il sangue mestruale è portatore di batteri tanto quanto, o anche di più, i liquidi vaginali. Dunque, parlando di sesso non bisogna mai abbassare la guardia e dimenticare le buone pratiche da mettere sempre in campo, soprattutto nel tanto temuto “periodo rosso”.

domenica 10 marzo 2013

FESTA DELLA DONNA 2013: GARDENIA AISM PER LA RICERCA CONTRO LA SLA

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Invece della solita mimosa, per la festa della donna 2013 regala una gardenia AISM: bastano 13€ per aiutare la ricerca contro la sclerosi multipla.
In Italia 65mila persone soffrono di sclerosi multipla, e ben 43mila sono donne dai 25 ai 30 anni, l’età più ricca di progetti personali e professionali.
Da venerdì 8 a domenica 10 marzo, 10mila volontari distribuiranno 250mila gardenie AISM in 3mila piazze italiane, grazie anche alla collaborazione di: Associazione Nazionale Bersaglieri, Associazione Nazionale Carabinieri, Protezione Civile, Istituto del Nastro Azzurro, fra Combattenti Decorati al Valor Militare, Segretariato Italiano Giovani Medici, Associazione Nazionale Vigili del Fuoco, Unione Nazionale Sottufficiali Italiani, Associazione Nazionale del Fante.
Le offerte per le gardenie sosterranno la ricerca di una cura per la sclerosi multipla, una malattia a oggi senza possibilità di guarigione.
Questo week end ricordati di donare il tuo sostegno alla ricerca: scegli la tua gardenia AISM in una delle 3mila piazze italiane che partecipano all’iniziativa. Per sapere qual è la piazza più vicina a te e scoprire altre modalità di donazione, visita il sito dell’AISM.

lunedì 25 febbraio 2013

PUZZETTE IMBARAZZANTI? CON FLAT-D SEI LIBERO DI FARLE!



La flatulenza è per definizione una miscela di gas intestinali e di piccole particelle fecali presenti sotto forma di aerosol, che viene rilasciata all'esterno attraverso l'ano e che è tipicamente accompagnata da un peculiare suono e da un odore piuttosto sgradevole. I gas che vengono prodotti nell'intestino costituiscono la percentuale maggiore di una flatulenza e devono il loro sviluppo ai batteri simbiotici e ai lieviti, organismi tipici del tratto gastrointestinale dei Mammiferi. La maggior parte di questi gas è inodore, come nel caso di azoto, ossigeno o metano, tuttavia la presenza di componenti gassose infinitesimali come lo zolfo e la nitroglicerina contribuisce a conferire alla flatulenza il suo caratteristico odore, dovuto inoltre all'azione del solfato di idrogeno (tipico delle uova marce) e dell'acido butirrico (odore di burro rancido). Generalmente considerata come normale funzione dell'organismo e per di più come buon segnale dell'attività intestinale, la flatulenza può però creare alcuni disagi nel contesto sociale e inoltre problemi seri nei casi di eccessivo accumulo della pressione dovuta ai gas.

Da oggi c'è un rimedio: FLAT-D.

"Flatulence D" è un tampone di tela e carbone attivo che viene indossato all'interno delle mutande. E' sottile, morbido e confortevole, lavabile e riutilizzabile.
Quando si fa un peto maleodorante, Flat-D assorbe il suo odore, evitando che questo si diffonda nell'aria. 
Questo rimedio è molto utile per tutti coloro che hanno disturbi digestivi, sindrome dell'intestino irritabile, morbo di Crohn, colite, celiachia, bypass gastrico, intolleranza al lattosio e altre malattie gastrointestinali.
In questo modo ognuno potrà riacquistare fiducia e potrà essere libero di emettere gas maleodoranti senza avere più imbarazzo. 
Resta un problema: "Flat-D" non è fatto da materiale insonorizzante!


http://www.flat-d.com/flatdreusable.html

OPERAZIONE DI CAMBIO SESSO DA UOMO A DONNA


 
Le operazioni di cambio di sesso negli ultimi anni hanno avuto una vera e propria esplosione. Non parliamo di moda, poiché l'intervento sottostà a un disturbo dell'identità di genere che porta la persona a sentirsi schiava di un corpo che non le appartiene. Gli step da seguire non sono pochi e il percorso è potrebbe per il cambio di sesso potrebbe essere molto lungo. In Italia, il cambio di sesso da uomo a donna è tutelato dalla legge (n. 164 Del 1982).

Il primo passaggio da effettuare è il consulto e una visita psichiatrica: questi deve diagnosticare il "disturbo dell'identità di genere" per permetterci un consulto con un endocrinologo, l'unico che può è prescrivere un'adeguata terapia ormonale (in genere estrogeni). Solo dopo questa prima fase possiamo rivolgerci al tribunale per richiedere l'intervento di conversione sessuale. Il passaggio dal tribunale è fondamentale poiché, in caso di sentenza positiva, è il Servizio Sanitario Nazionale a coprire le spese dell'intervento, in caso contrario dovremo pagare ogni singolo intervento. Solo dopo la conversione sessuale completata ci rivolgeremo nuovamente al tribunale per il cambio di stato anagrafico. 

Passiamo ora ad esaminare gli interventi chirurgici veri e propri da effettuare: mastoplastica additiva (le protesi vengono inserite sotto il muscolo pettorale e poi plasmate dal chirurgo); vaginoplastica: si asportano gli organi genitali originari (testicoli, epididimo e funicolo, corpi cavernosi, uretra peniena) inizialmente, prima della fase "ricostruttiva".

La pelle che ricopre il pene viene usata per foderare una cavità interna ricavata tra retto e vescica. Parte del glande viene usata per costruire un clitoride. Dopo di questo avviene il modellamento della vulva, le grandi e piccole labbra e il monte di Venere. Un conformatore vaginale (o tutor) previene il restringimento della cavità nei 15 giorni seguenti l'intervento. L'epilazione (solitamente tramite laser) completa il quadro conferendo tono femminile alla pelle (soprattutto su viso e schiena). 


Questi i due interventi principali per il cambio di sesso da uomo a donna; il miglioramento e la rifinitura delle altri parti del corpo segue a questi due. Tra questi possiamo elencare la rinoplastica, otoplastica, rimodellamento del mento, della bocca e degli zigomi. Attraverso il lipofilling ("autotrapianto" di grasso) possiamo farci modellare fianchi, glutei.

Inoltre, a volte è possibile l'impianto di protesi di silicone ai polpacci.

Questi gli interventi principali a cui andiamo incontro quando da uomini decidiamo di passare al sesso femminile.

ANGIOPLASTICA E STEN CORONARICI


Il trattamento più moderno delle placche aterosclerotiche che ostruiscono in modo più o meno grave il lume delle arterie coronarie, ostacolando, in alcune situazioni, il flusso di sangue al cuore, viene chiamato angioplastica coronaria ed è indicato spesso con la sigla PTCA (che sta per il corrispettivo inglese di angioplastica coronarica transluminale percutanea), e generalmente comprende anche l’impianto di uno o più protesi metalliche, chiamate stent.
L'angioplastica coronarica è una procedura meno invasiva dell’intervento chirurgico di innesto di bypass aortocoronarici, in quanto non prevede l’apertura del torace e non richiede anestesia generale.
Il cardiologo interventista, infatti, si limita a praticare una piccola incisione cutanea, sufficiente a introdurre un sottile catetere in un'arteria nella regione inguinale (arteria femorale) o nella regione del polso (arteria radiale).
La puntura e l’inserimento del catetere nell’arteria sono preceduti dall’iniezione sottocutanea di un anestetico locale. Inoltre, il paziente riceve un sedativo leggero per via endovenosa al fine di facilitarne il rilassamento ed alleggerirne l’eventuale ansia.
Va osservato che il paziente non percepisce il movimento del catetere nel corpo durante la procedura, sebbene possa avvertire un piccolo fastidio nel punto di inserimento del catetere a livello cutaneo.
Il catetere utilizzato per eseguire l’intervento è costituito da un tubicino cavo, lungo e flessibile, che contiene alla sua estremità un piccolo palloncino, che in condizioni basali è sgonfio.
Una volta inserito nell'arteria femorale o nell'arteria radiale, il catetere viene fatto avanzare fino al cuore, nel lume dell’arteria coronaria dove è situato il restringimento (tecnicamente chiamato “stenosi”) causato dalla placca aterosclerotica, che era stata individuato precedentemente mediante la coronarografia.
Il cardiologo che esegue l’intervento segue l'avanzamento del catetere lungo le arterie su un monitor e, per determinare in modo preciso il punto in cui si trova la stenosi, inietta del mezzo di contrasto nel vaso coronarico attraverso lo stesso catetere, rendendo ben visibile il contorno dell’arteria mediante raggi X.
A questo punto il piccolo palloncino posizionato all'estremità del catetere viene gonfiato con un liquido sterile a livello della stenosi.
Il gonfiaggio del palloncino schiaccia la placca aterosclerotica contro le pareti dell'arteria, eliminando così l’ostruzione e ristabilendo un normale lume del vaso e flusso di sangue al cuore. Una volta eliminata la stenosi, il palloncino viene sgonfiato e il catetere viene ritirato.
Contestualmente alla dilatazione del vaso col palloncino, durante l’intervento viene quasi sempre  impiantato uno stent. Questo è costituito da un piccolo cilindro formato da una specie di impalcatura metallica che viene fatto inglobare nella parete del vaso a livello della stenosi durante la dilatazione.
Il motivo per cui vengono utilizzati gli stent è che essi rendono più stabile la dilatazione ottenuta con il palloncino ed aiutano a mantenere aperta l’arteria nel corso del tempo.
La procedura di angioplastica coronaria è sempre eseguita sotto stretto controllo dell’elettrocardiogramma e della pressione arteriosa, al fine di individuare tempestivamente eventuali complicanze, che, per quanto rare, sono sempre possibili, soprattutto in pazienti più compromessi.
L'intervento di angioplastica dura, in genere, tra i 30 e i 90 minuti. Dopo l'intervento è necessario un giorno (a volte un pò meno) di riposo a letto in ospedale, durante il quale il braccio o la zona dell'inguine devono restare immobili per consentire la riparazione naturale della parete vasale nel punto di inserimento del catetere. È possibile ritornare al lavoro e alla normale attività dopo alcuni giorni dall’intervento.
Particolarmente importanti sono il trattamento farmacologico e le visite di controllo che il paziente deve effettuare nei mesi successivi al trattamento. Vi è, infatti, un piccolo rischio che si possano formare  trombi a livello della stenosi dilatata, oltre a un rischio, più rilevante, che la stenosi trattata possa riformarsi (ristenosi), cosa che avviene più frequentemente nei primi 6 mesi dopo l’intervento. Per prevenire queste complicanze, il paziente deve assumere dei farmaci e le sue condizioni devono essere monitorate nel primo anno con una serie di visite di controllo.
La possibilità che in un paziente trattato con angioplastica coronaria si sia riformata una stenosi nel punto trattato può essere suggerita dalla ricomparsa di disturbi anginosi durante sforso o a riposo, o anche, in assenza di sintomi, dalla dimostrazione di una ricomparsa di un’ischemia miocardica all’elettrocardiogramma o alla scintigrafia durante una prova da sforzo.
Mentre la ristenosi poteva interessare sino al 40% dei vasi trattati con l’uso del solo palloncino, l’uso di stent metallici ha ridotto questa percentuale al 25% circa. Più recentemente, l’uso di stent ricoperti di farmaci che inibiscono la riformazione della stenosi a livello del loro impianto ha ridotto la probabilità di restenosi nel primo anno dopo l’angioplastica a meno del 10%.

domenica 24 febbraio 2013

PERCHè LE MANI AMMOLLO RAGGRINZISCONO?

Il fenomeno è un adattamento evolutivo, che serve a migliorare la presa quando si sta in acqua. Lo ha definitivamente confermato una recente ricerca (gennaio 2013) dell'Università di Newcastle pubblicata su Royal Society journal Biology Letters.
I ricercatori hanno fatto svolgere un esperimento a un gruppo di volontari: raccogliere una serie di oggetti in marmo immersi nell'acqua e farli passare per piccole fessure. I volontari con le dita avvizzite sono riuscite a svolgere il loro compito molto più velocemente degli altri.

Non si scivola

Come ha mostrato uno studio precedente pubblicato su Brain, Behaviour and Evolution, le pieghe non sono comunicanti fra loro. Per questo, quando il dito preme su una superficie dura (per esempio, se si cerca di afferrare un oggetto) l’acqua scivola via creando una maggiore superficie di contatto, il che agevola la presa. In altre parole le rughe agiscono come il battistrada negli pneumatici.

Questione di nervi
L’avvizzimento delle mani in acqua è un fenomeno sempre reversibile, controllato dal sistema nervoso. Ne è la prova il fatto che, se i nervi dell’ultima parte della dita sono lesionati, le dita a mollo non raggrinziscono. Ma concretamente da quale fenomeno è causato?

Dita gonfie
La pelle si raggrinzisce quando facciamo il bagno perché si gonfia d’acqua. Lo strato corneo, la parte più superficiale della pelle, è costituito da cheratina, una proteina che per sua natura si lega all'acqua e alle sostanze grasse. Quando immergiamo le mani a lungo, la cheratina assorbe acqua e si gonfia, cosa che non accade invece negli strati sottostanti della pelle. Il risultato è che lo strato corneo diventa più ampio rispetto alla superficie sottostante, e di conseguenza forma delle pieghe. Il fenomeno è chiaramente visibile sulle mani e sui piedi perché in questi punti la cheratina è più abbondante che in altre parti del corpo. Anche i capelli e le unghie sono ricchi di cheratina, ma hanno una struttura differente. Tuttavia anche in queste parti del corpo l’acqua si lega alla proteina: le unghie diventano più morbide e i capelli più ricci.

PERCHè I PIEDI PUZZANO?

La colpa della puzza dei piedi è dei batteri del genere Brevibacterium: si nutrono delle cellule morte della pelle, del grasso e dello sporco che si formano tra le dita dei piedi, producendo metantiolo, principale responsabile dei piedi maleodoranti. Un ricercatore ha anche scoperto che i batteri di questa famiglia fanno maturare anche un tipo di formaggio olandese (il limburger). E l'odore che ne scaturisce è molto simile.
A contribuire alla puzza (dei piedi) sono però anche i Propionibacteria, che producono acido propionico (dall’odore simile all’aceto) e Staphylococcus epidermidis, che emana acido isovalerico.
Si stima che nei piedi alberghino circa 10 milioni di batteri per centimetro quadrato. Il punto è che tutto il nostro corpo è “abitato” da oltre 10.000 miliardi di batteri. Alcuni sono essenziali per la salute, altri sono nocivi, e molti producono sostanze puzzolenti.  Per esempio, il cattivo odore del sudore è causato da batteri della pelle, e in particolare da quelli del genere Corynebacterium, che si nutrono di lipidi e producono il puzzolentissimo acido butirrico. Un eccesso di questi microrganismi può causare anche infezioni cutanee. Fortunatamente i deodoranti contengono sostanze che li uccidono o impediscono la loro crescita.

venerdì 22 febbraio 2013

PARTO CESAREO




Cicatrici del parto cesareoCasi in cui è consigliato il parto cesareo.

DIMMI CHE CERVELLO HAI E TI DIRò CHI VOTI

A pochi giorni dalle elezioni la domanda sorge spontanea: ma per chi voteranno i nostri vicini di casa o i colleghi d’ufficio?

Per saperlo basterebbe dare uno sguardo... dentro loro testa: secondo un recente studio pubblicato su PLOS ONE infatti, le preferenze politiche si tradurrebbero in strutture cerebrali differenti tra individui di orientamento progressista e soggetti più conservatori.

Cervelli di destra e di sinistra. Secondo Darren Schreiber, ricercatore in neuroscienze all’Università di Exeter (Regno Unito) e responsabile dello studio, l’analisi avrebbe successo nel 71,6% dei casi. Lo studio è stato condotto su 82 cittadini americani iscritti nelle liste pubbliche di partiti politici e ha analizzato la loro propensione al rischio.
Schreiber e i suoi colleghi hanno sottoposto i volontari a semplici giochi il cui scopo era quello di prendere decisioni in cambio di un compenso e hanno monitorato la loro attività neurologica mediante risonanza magnetica funzionale. I risultati dell’esperimento non hanno rilevato sostanziali differenze nella capacità di assumere e gestire il rischio, ma hanno evidenziato processi cerebrali molto diversi tra repubblicani e democratici durante la fase decisionale.

Biologia politica. In passato altri studi avevano già dimostrato l’esistenza di differenze neurologiche legate alle preferenze politiche: i democratici per esempio avevano mostrato una maggior attività cerebrale nelle aree del cervello connesse al mondo delle relazioni e delle amicizie, mentre i repubblicani erano risultati più sensibili nelle aree degli affetti, delle relazioni forti e della famiglia.
In altre ricerche erano invece state notate differenze nella struttura dell’amigdala - la zona dove si elaborano le paure – tra liberali e conservatori. E ogni variazione nell’architettura del cervello si traduce in comportamenti e modi di pensare differenti.
Ma sono le preferenze politiche a modifcare la forma del cervello o è la sua conformazione a definire gli orientamenti di ciascuno dentro la cabina elettorale? I ricercatori sono divisi: nel 2008 John Alford, della Rice University di Huston aveva evidenziato i fondamenti biologici delle preferenze politiche.

Taxisti cervelloni. La politica non è comunque l’unica attività umana a influire sullo sviluppo neurologico: già 10 anni fa una ricerca su taxisti londinesi aveva mostrato un ingrossamento del loro ippocampo – la zona utilizzata per la navigazione e l’orientamento spaziale – che risultava essere molto più sviluppato rispetto alla media.
Il fatto che le preferenze politiche siano in qualche modo scritte nel cervello non significa comunque che siano immutabili: “le nostre strutture neurologiche “ spiega Schreiber, “sono infatti molto dinamiche”.

giovedì 21 febbraio 2013

UN FARMACO PER COMBATTERE LE PENE D'AMORE


Un farmaco per curare il mal d’amore, per tenere a bada le farfalle nello stomaco. Roba da cinici? No, da farmacisti. E’ di sicuro curioso che una ragazza di 24 anni si presenti all’esame di laurea con una tesi dal titolo «L’innamoramento, una patologia che si può curare». Gaia Vitali lo ha fatto e si è laureata così con 102 alla facoltà di Farmacia di Perugia.
Amorex «In verità un farmaco esiste già e si chiama Amorex – spiega la neo dottoressa – è austriaco e si basa sull’estratto della Griffonia simplicifolia». Secondo quanto riporta il foglietto illustrativo «agisce sulle alterazioni biologiche sottese al romantic stress aumentando i livelli di serotonina e BDNF». Agendo sulla serotonina (l’ormone su cui opera ad esempio il Prozac), di fatto collega le pene d’amore alla depressione.
L’ormone dell’amore Ma la studentessa perugina ha un approccio diverso, nella sua tesi. «Quella di cui mi sono occupata io – dice – è la sofferenza che si prova nella primissima fase, quella dell’innamoramento, quando non si sa se si verrà corrisposti e si hanno mille dubbi e incertezze. L’ormone che viene identificato in questa fase come protagonista è la dopamina, quello per capirci che è superiore al normale negli schizofrenici». L’idea, dunque, è che siccome è la stessa sostanza in eccesso quando ci si arrovella tra i dubbi amorosi e quando si hanno disturbi della personalità tipici nella schizofrenia, si possano usare gli stessi farmaci per avere un sollievo.
Amore e schizofrenia «L’amore è schizofrenia? In un certo senso, quello ormonale, sì – afferma Gaia – certo che questa è una tematica piuttosto nuova nelle neuroscienze e non si hanno, al momento, evidenze scientifiche sull’efficacia dei farmaci sugli innamorati». Nella tesi, Gaia cita studi recenti sull’attivazione delle aree cerebrali monitorate, ad esempio, mentre due persone si baciano. Ma da qui a testare farmaci isolando le sofferenze d’amore da altri tipi di malesseri psicofisici il discorso è lungo. «E anche complesso – sottolinea lei – gli ormoni coinvolti nelle varie fasi dell’amore sono tanti».
Amore amaro Ma perché si dovrebbe curare il malessere forse più dolce per un essere umano? «Questo non è sempre vero – rimarca Gaia – non tutti vivono allo stesso modo il dolore magari di un amore impossibile, che può anche spingere verso la depressione. Io, innanzi tutto, non volevo fare una tesi banale e poi è un argomento che mi piacerebbe approfondire anche dopo la laurea, in una scuola di specializzazione».
Ad avere la pillolina… Viene da chiedersi se all’origine della tesi ci sia una delusione bruciante come quella che struggeva i poeti stilnovisti. «In effetti no, sono felicemente fidanzata – replica Gaia -. In passato, sì, come tutti, mi sono innamorata delle persone sbagliate e, in certi momenti, ad avercela avuta un pillola…».