lunedì 25 febbraio 2013

ANGIOPLASTICA E STEN CORONARICI


Il trattamento più moderno delle placche aterosclerotiche che ostruiscono in modo più o meno grave il lume delle arterie coronarie, ostacolando, in alcune situazioni, il flusso di sangue al cuore, viene chiamato angioplastica coronaria ed è indicato spesso con la sigla PTCA (che sta per il corrispettivo inglese di angioplastica coronarica transluminale percutanea), e generalmente comprende anche l’impianto di uno o più protesi metalliche, chiamate stent.
L'angioplastica coronarica è una procedura meno invasiva dell’intervento chirurgico di innesto di bypass aortocoronarici, in quanto non prevede l’apertura del torace e non richiede anestesia generale.
Il cardiologo interventista, infatti, si limita a praticare una piccola incisione cutanea, sufficiente a introdurre un sottile catetere in un'arteria nella regione inguinale (arteria femorale) o nella regione del polso (arteria radiale).
La puntura e l’inserimento del catetere nell’arteria sono preceduti dall’iniezione sottocutanea di un anestetico locale. Inoltre, il paziente riceve un sedativo leggero per via endovenosa al fine di facilitarne il rilassamento ed alleggerirne l’eventuale ansia.
Va osservato che il paziente non percepisce il movimento del catetere nel corpo durante la procedura, sebbene possa avvertire un piccolo fastidio nel punto di inserimento del catetere a livello cutaneo.
Il catetere utilizzato per eseguire l’intervento è costituito da un tubicino cavo, lungo e flessibile, che contiene alla sua estremità un piccolo palloncino, che in condizioni basali è sgonfio.
Una volta inserito nell'arteria femorale o nell'arteria radiale, il catetere viene fatto avanzare fino al cuore, nel lume dell’arteria coronaria dove è situato il restringimento (tecnicamente chiamato “stenosi”) causato dalla placca aterosclerotica, che era stata individuato precedentemente mediante la coronarografia.
Il cardiologo che esegue l’intervento segue l'avanzamento del catetere lungo le arterie su un monitor e, per determinare in modo preciso il punto in cui si trova la stenosi, inietta del mezzo di contrasto nel vaso coronarico attraverso lo stesso catetere, rendendo ben visibile il contorno dell’arteria mediante raggi X.
A questo punto il piccolo palloncino posizionato all'estremità del catetere viene gonfiato con un liquido sterile a livello della stenosi.
Il gonfiaggio del palloncino schiaccia la placca aterosclerotica contro le pareti dell'arteria, eliminando così l’ostruzione e ristabilendo un normale lume del vaso e flusso di sangue al cuore. Una volta eliminata la stenosi, il palloncino viene sgonfiato e il catetere viene ritirato.
Contestualmente alla dilatazione del vaso col palloncino, durante l’intervento viene quasi sempre  impiantato uno stent. Questo è costituito da un piccolo cilindro formato da una specie di impalcatura metallica che viene fatto inglobare nella parete del vaso a livello della stenosi durante la dilatazione.
Il motivo per cui vengono utilizzati gli stent è che essi rendono più stabile la dilatazione ottenuta con il palloncino ed aiutano a mantenere aperta l’arteria nel corso del tempo.
La procedura di angioplastica coronaria è sempre eseguita sotto stretto controllo dell’elettrocardiogramma e della pressione arteriosa, al fine di individuare tempestivamente eventuali complicanze, che, per quanto rare, sono sempre possibili, soprattutto in pazienti più compromessi.
L'intervento di angioplastica dura, in genere, tra i 30 e i 90 minuti. Dopo l'intervento è necessario un giorno (a volte un pò meno) di riposo a letto in ospedale, durante il quale il braccio o la zona dell'inguine devono restare immobili per consentire la riparazione naturale della parete vasale nel punto di inserimento del catetere. È possibile ritornare al lavoro e alla normale attività dopo alcuni giorni dall’intervento.
Particolarmente importanti sono il trattamento farmacologico e le visite di controllo che il paziente deve effettuare nei mesi successivi al trattamento. Vi è, infatti, un piccolo rischio che si possano formare  trombi a livello della stenosi dilatata, oltre a un rischio, più rilevante, che la stenosi trattata possa riformarsi (ristenosi), cosa che avviene più frequentemente nei primi 6 mesi dopo l’intervento. Per prevenire queste complicanze, il paziente deve assumere dei farmaci e le sue condizioni devono essere monitorate nel primo anno con una serie di visite di controllo.
La possibilità che in un paziente trattato con angioplastica coronaria si sia riformata una stenosi nel punto trattato può essere suggerita dalla ricomparsa di disturbi anginosi durante sforso o a riposo, o anche, in assenza di sintomi, dalla dimostrazione di una ricomparsa di un’ischemia miocardica all’elettrocardiogramma o alla scintigrafia durante una prova da sforzo.
Mentre la ristenosi poteva interessare sino al 40% dei vasi trattati con l’uso del solo palloncino, l’uso di stent metallici ha ridotto questa percentuale al 25% circa. Più recentemente, l’uso di stent ricoperti di farmaci che inibiscono la riformazione della stenosi a livello del loro impianto ha ridotto la probabilità di restenosi nel primo anno dopo l’angioplastica a meno del 10%.

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